Le testimonianze

Non credevo di bastare e di bastarmi, pensavo di dover essere diversa, senza essermi nemmeno pienamente conosciuta. Gli abbracci e gli sguardi sinceri e accoglienti che ho ricevuto in Brasile mi hanno fatta sentire immediatamente coinvolta e amata. In quegli abbracci ci si sentiva sollevati fisicamente e contemporaneamente investiti dall'energia di quel gesto carico di affetto e ospitalità. Ospitalità come apertura di se stessi all'altro, come quando allargando le braccia si crea lo spazio per ricevere l’altra persona. Sono partita senza troppe aspettative, non avevo identificato obiettivi precisi per non trovarmi a dover sopportare eventuali rimpianti; volevo lasciarmi stupire da ogni cosa, e così è stato. Non solo, anche in assenza di cose c’era possibilità di meraviglia. Partivo per fare volontariato, ma quello che ho fatto è stare volontariamente: non era fondamentale fare i murales nelle aule e fare l’inventario del materiale per i laboratori. Era importante prima di tutto stare, essere attivamente presenti per i bambini, ascoltarli anche senza capire il senso delle parole, perché, dopo l’iniziale mortificazione nel non comprendere i loro discorsi, si raggiunge la viva consapevolezza di essere noi stessi veicoli di Amore, di non necessitare di una lingua per trasmetterlo e condividerlo. Tornata dal Brasile, la concretezza del “fare” della partenza l’ho riproposta nell’ “avere” del rientro: mantenere l’orologio con le lancette correnti il fuso brasiliano, scorrere le fotografie che hanno reso statici momenti trascorsi, sfogliare disegni e biglietti colorati. Poi si sceglie, si sceglie di vivere quotidianamente il Brasile nella propria realtà, viverlo! non averlo. Non voglio portare questa esperienza solo nel cuore, rischia di essere un deposito di ricordi e tale non è la dimensione che caratterizza il mio Brasile. Non è una memoria di una bella estate, è presente, è nelle mie mani e nei miei piedi perché sono quelli che mi fanno avanzare quotidianamente nel mio cammino. Le stesse mani che hanno legato tra loro tre palloncini senza usare lo spago. Lo stavo andando a prendere quando un’educatrice del centro mi ha mostrato come allacciarli; non serviva lo spago, bastavo io. La soddisfazione nel vedere quei palloncini appesi al muro il giorno della festa, nel vedersi in Alto per come si è, senza bisogno dello spago! Non mi è “cambiata la vita”, sono tornata ai miei studi e alle mie attività, ma la vivo apprezzando maggiormente i gesti quotidiani e ringraziando per questa esperienza.
— Chiara
Mi chiamo Giorgia, ho 24 anni e da fine luglio a metà agosto sono stata in Brasile con le Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe per partecipare come volontaria alla loro missione. Descrivere brevemente e in modo conciso l’esperienza di volontariato sarebbe impossibile, poiché abbiamo vissuto tante esperienze, provato infinite emozioni e ogni giorno è stato emotivamente pieno. Eppure c’è un lascito che più degli altri mi sento di portare dentro e che è stato, almeno per me, il senso più profondo dell’esperienza: la spontaneità dell’amore. Prima di partire pensavo che noi volontarie italiane avessimo la missione di andare in Brasile per aiutare, eppure, una volta lì questa missione si è sgretolata perché sono stati i bambini e le missionarie ad aiutare noi, ad arricchirci l’anima. È qualcosa che ti cambia dentro, che rivoluziona il tuo modo di vedere le cose e che mette in luce quanto amore si possa condividere attraverso i piccoli gesti. Uscire dalla propria “comfort zone” e iniziare a condividere è il primo passo per vivere l’amore e non smetterò mai di ringraziare per la magnifica esperienza che ho vissuto e che mi ha insegnato tutto questo.
— Giorgia
Essere volontario significa mettersi in comunicazione con le vere ed autentiche necessità dell’altro.
— Missionaria – Daiane
La nostra “storia” con la AIPK Onlus ha avuto inizio con le bomboniere solidali per il nostro matrimonio. La nostra famiglia ha da poco compiuto 7 anni, ed è da 7 anni che le missionarie ed i volontari della AIPK, in diversi modi, ne sono entrati a far parte. Ci siamo sentiti coinvolti in questioni e realtà così lontane e diverse da noi... allo stesso tempo, però, queste culture ci parlavano di una bellezza che fatica ad uscire. Già prima di sposarci avevamo le idee chiare su come avremmo fatto crescere la nostra famiglia e, dopo il primo anno di matrimonio, messo da parte qualche soldino, abbiamo deciso di allargare la nostra famiglia con il sostegno a distanza. Ricordiamo benissimo l’emozione del momento in cui abbiamo ricevuto la fotografia e le notizie del bambino a noi affidato: un pacioccone brasiliano di appena 7 mesi. Da quel giorno, durante la preghiera per benedire i nostri pasti, era inevitabile pensare a Wesley e alla sua famiglia. Sì, perché sentivamo che ci era chiesto di prenderci cura non solo di questo bambino, ma di tutta la sua famiglia. Da subito abbiamo fatto esperienza che il sostegno a distanza non è solo mandare dei soldi (magari quelli di “troppo”) a chi ne ha più bisogno per lavarsi la coscienza con qualche buona azione. Ammettiamo che avremmo potuto fare di più: scrivere una lettera, inviare qualche foto o qualche regalino, o addirittura partire, ma non ci è stato possibile... però quella foto sul frigorifero o in camera da letto, ci faceva sentire in contatto. Dopo due anni, purtroppo, la famiglia che ci è stata affidata si è trasferita ed è uscita fuori dal progetto del sostegno a distanza. Ma non potevamo non riproporci come “padrini” per qualcun altro, tanto più che la nostra famiglia era in attesa di Gabriele. E dopo poco ecco arrivare una nuova storia da accogliere: Marjorye Letìcia, la sorella maggiore di Gabriele! Abbiamo avuto l’occasione di incontrare tanti altri padrini in un incontro a Mondragone (CE): tanti come noi alle prime armi, altri con esperienze decennali o chi addirittura era partito e aveva conosciuto i bambini a loro affidati, o ancora gruppi affidatari. Il bello di queste persone era non solo la generosità, ma la vera accoglienza del cuore. Esistono tanti modi per far crescere una famiglia, e il sostegno a distanza ci ha insegnato proprio ad essere sempre più famiglia aperta e in crescita e ci ha fatto capire che il vero amore è il non possesso.
— Alessia e Roberto
Non mi ero mai chiesta perché sostengo le adozioni a distanza, ma, riflettendo sulle motivazioni, ho scoperto che nella mia vita ho sempre ricevuto amore da tante persone, che con le loro capacità mi hanno sostenuto. Capisco che ho ricevuto tanto e tutto gratuitamente, perché io non ho fatto nulla per meritarlo. È giunto per me ora il momento di restituire. Per questo, oltre che prendermi cura delle persone vicine, ho sentito il desiderio di aiutare anche persone a me lontane, che hanno sicuramente gli stessi desideri e speranze per una vita migliore. Così ho deciso di sostenere una famiglia in difficoltà in Brasile e una piccola bambina orfana in Africa. Probabilmente non avrò mai l'occasione di conoscerli personalmente, ma avrò la gioia di avere acceso una luce di speranza nella loro esistenza sapendo di non essere più soli, poiché per me, come credo per tutti, è fondamentale sapere che siamo importanti per qualcuno.
— Luisa

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